Sotto la presidenza Breznev, ebbi modo di visitare Mosca, San Pietroburgo e Sudzal’ in occasione del XXIII Congresso Geografico Internazionale tenutosi a Mosca nel 1976, animato dallo spirito d’osservazione del geografo e dall’entusiasmo di un giovane socialista desideroso di conoscere l’organizzazione territoriale scaturiente dall’ortodossa applicazione dell’ideologia comunista.
Dalle poche visite permessemi al di fuori dei percorsi imposti dagli accompagnatori ed effettuate nei bar aperti agli stranieri, nella splendida metropolitana ed in una festa di matrimonio raccolsi le esternazioni di molti giovani, ma anche di adulti, desiderosi di far conoscere il proprio pensiero ed attratti dal nostro modello di vita sintetizzato nella smodata aspirazione di possedere “jeans” e “calze di nylon”. Le persone che contattai concordavano su un assunto: i “nonni” avevano fatto la rivoluzione e credevano nel
futuro socialista, i “padri” seguivano la scia dei nonni e speravano in un futuro di eguaglianza di benessere diffuso, ed i “nipoti”, ovvero le generazioni nate dopo il 1950, non assaporavano la prosperità promessa e tendevano a ribellarsi”. Dai loro discorsi e dalle mie dirette osservazioni colsi gli aspetti più deleteri che in quella fase storica stava vivendo il comunismo sovietico, quali la carenza di risorse alimentari e l’inefficienza dei loro canali di distribuzione – per cui attraversando la città di Mosca si notavano le lunghe file ai chioschi per acquistare generi di prima necessità venduti in quel giorno della
settimana a prezzi contenuti e le signore a passeggio che portavano seco una busta per la spesa allo scopo di fare la fila ove questa fosse più corta -, la discriminazione tra gli abitanti della città e quelli della campagna – a parità di stipendio questi ultimi rimanevano isolati nelle campagne per molti mesi -, la corruzione del potere centrale, i soprusi dei gestori politici e l’inefficienza dalla burocrazia locale e persino dei rappresentanti dei condominî ecc. Da una passeggiata fatta di sera nei pressi dell’albergo posto alla periferia di Suzal’ ho notato che ai margini della strada vi erano cumuli ininterrotti di grano perso dai poco efficienti camion che lo raccoglievano dai campi e lo trasportavano nei magazzini di stoccaggio del vicino sovchoz o kolchoz.
Tali esempi parziali, ma indicativi e diffusi, dimostravano che il sistema era in crisi tanto da giustificare il sentire comune della gente che auspicava un cambiamento nella gestione politica ed economica dell’Unione.
Gorbačëv ebbe la capacità di cogliere il malessere collettivo e la determinazione di avviare le riforme di un sistema obsoleto, le quali furono veicolate tramite due parole d’ordine “perestroika” e “glasnost’.
Purtroppo, gli intrighi di palazzo ed il potere occulto della “nomenklatura”, che si consumarono tra il 1991 ed il 1999, prima col push di Agosto (1991) e poi sotto la presidenza di Boris El’cin (1991-1999) e mai sufficientemente chiariti dagli storici, non permisero al suo ideatore di completare il processo di ammodernamento politico ed economico del paese.
I giudizi che si danno oggi, alla sua morte, sono antitetici e cioè: “egli fu il fautore della dissoluzione dell’impero o fu colui che seppe raccogliere le istanze della popolazione”?
A nostro parere a Gorbačëv non può essere imputata la colpa dello sfaldamento dell’URSS, giacché il declino del sistema comunista, introdotto da Lenin (1922) e mantenuto in vita dai presidenti che si erano succeduti fino a Černenko (1985), si era avviato, era difficile fermarlo e, prima o poi, sarebbe esploso e sfociato in furiose manifestazioni che il Governo avrebbe potuto domare, adottato le stesse misure poste in atto dai Cinesi a Piazza Tien’anmen, oppure avviando un processo riformatore.
È doveroso ricordare che Michail Gorbačëv visitò la Cina tra il 15 ed il 17 Maggio nel pieno della protesta degli studenti cinesi, principiata il 15 Aprile e conclusasi il 4 giugno 1989 col “massacro di Piazza Tien’anmen”, e, quindi, ebbe la possibilità sia di sondare il malcontento delle giovani generazioni e la veemenza della protesta e sia di meditare sulle misure imposte, di lì a poco, dal Partito Comunista Cinese (PCC).
Indubbiamente, i fatti cinesi rafforzarono la sua scelta di procedere ad un graduale cambiamento del sistema economico-politico sovietico, percorrendo la strada delle riforme, della trasparenza e dell’apertura al mondo occidentale, nella salvaguardia delle peculiarità della società russa in un contesto nuovo e non più anacronisticamente bipolare, obiettivi e metodo ricordati nelle sue numerose interviste rilasciate negli anni successivi alla sua estromissione dalla vita politica. Purtroppo, la Nomenklatura non gli diede il tempo per realizzare il suo progetto, che stroncò sul nascere, anzi, sotto la presidenza El’cin, coltivò i semi sul mito della grande potenza imperiale che germogliarono con la prima presidenza Putin (1999-2008) e che a mano a mano sono divenute piante frondose a partire dalla seconda presidenza di quest’ultimo, iniziata nel 2012, di cui non si intravvede il termine.
Nicolino Castiello
Geografo politico-economista
fonte foto: https://it.wikipedia.org
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